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Genitori e figli

  • Immagine del redattore: Giulia Checcucci
    Giulia Checcucci
  • 14 lug 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

Ancora qualcosa da dire.


Sul rapporto tra genitori e figli c’è ancora qualcosa da dire e, molto probabilmente, ci sarà sempre qualche osservazione da fare andando avanti nel tempo. Un po’ perché anni di esperienza mi portano a guardare le cose da diverse angolazioni, un po’ perché lo sguardo è più acuto, attento alle sfumature, un po’ perché invecchio e si sa, ad una certa età si tende a prendere la distanza da ciò che accade e questo fa vedere certi aspetti diversamente da quando ci siamo immersi o molto vicini. Una prima osservazione riguarda una sorta di debolezza che avverto appena entro in contatto con babbi, mamme e figli. Mi spiego: debolezza intesa come scarsa capacità di essere genitori fermi, in grado di contenere ciò che il figlio porta, sia esso dolore, ribellione, paura, gioia o altro ancora. Essere genitori fermi non significa essere rigidi o duri, anzi, la flessibilità è necessaria e richiesta; essere fermi significa potersi muovere tra polarità opposte, abitando la distanza tra concedere e vietare, tra premiare e punire, tra lasciare andare e trattenere. Essere fermi vuol dire dare regole, consapevoli della forza contrattuale del proprio status di genitori e del proprio vissuto che può es-sere raccontato ed espresso come insegnamento per i figli, senza che questo comporti sentirsi “vecchi e inadeguati”, ma portatori di esperienza e ricchezza. Esperienza che andrebbe valorizzata, soprattutto nell’allearsi con altri adulti di riferimento, come gli insegnanti o altri genitori, evitando facili deleghe di responsabilità, ad esempio alle cattive compagnie, all’incapacità della scuola di formare ed insegnare, allo Stato che non ci pensa, al marito o alla moglie che non sono e non fanno quello che dovrebbero. Pensate un po’ se tutti gli adulti si alleassero e i ragazzi avessero il senso di un limite, oltre il quale non si va, se non andando avanti nella vita e, soprattutto assumendosi la responsabilità delle proprie azioni, senza dare la colpa agli altri! Purtroppo non è così, infatti spesso si assiste a genitori che minimizzano i problemi dei figli, liquidando qualsiasi loro azione con un “ s’è fatto tutti, che sarà mai, sono giovani e sbagliando s’impara!”, difendendoli a spada tratta, evitando il confronto con altri genitori e rivolgendosi, semmai, ad un esperto, per avere, generalmente, una “ricetta miracolosa”. Miracolosa in quanto non necessita di impegno, responsabilità, dolore nel sentirsi “odiati” dai figli, nella separazione, nel lasciare andare. Credo sia questo, alla fine, il problema: i genitori, in generale, sopportano malvolentieri la paura di non essere amati perché pongono limiti, la frustrazione di non essere il genitore preferito, il dolore della separazione, l’angoscia dell’invecchiamento e della solitudine. Sempre più ci sono madri “sposate con i figli”, che tendono a dimenticare e allontanare i mariti, immolandosi sull’altare sacrificale della maternità e dell’abnegazione verso questi “piccoli despoti” e “giovani vampiri”. E sempre più ci sono padri che lavorano, lavorano, lavorano, per comprare, comprare, comprare. E con il tempo la coppia sparisce, esiste solo la famiglia, il mutuo, le spese, le vacanze, ecc. ecc.

Poi i figli crescono, “grazie a Dio” se ne vanno, e la coppia rimane lì, due sconosciuti, oramai, che hanno lavorato, lavato, stirato, accudito, ecc. ecc.

Meno male che arrivano i nipoti!

E si ricomincia, si fa i nonni, e allora li si può “viziare” e se danno noia basta mettere un Dvd e stanno buoni.

Oppure si può sempre ricorrere a S.O.S. Tata ed avere così tanti insegnamenti per educare e far crescere bene i figli.

Ma non vi sembra che ci sia qualcosa che non va?


Giulia Checcucci

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